Come tutte le
mattine, sono in cucina a preparare la colazione. Squilla il telefono. Mia
figlia si precipita a rispondere pensando sia la sua amica. Solleva la
cornetta, la sento dialogare, poi si rivolge a me dicendo: "Mamma, c'è zia
Filomena al telefono, pare che non stia bene. Ha chiesto se puoi passare in
mattinata a casa sua per una visita"
"Certo,"
rispondo, "passerò come al solito alle nove."
Zia Filomena, che
vecchietta simpatica! era una delle mie pazienti più affezionate.
Quando mi trovavo
nella sua casa, per la solita visita, mi chiedeva sempre della mia salute:
"dottorè, mi non si ammali, altrimenti io come faccio?"
Mi guardava con quei
suoi occhi nocciola che spuntavano furbi da un fazzoletto nero che le copriva
la fronte. Era mia paziente ormai da vent’anni, tra noi si era instaurato un
rapporto affettivo che non trascendeva mai dalla sua innata riservatezza e da
quella riverenza che le persone anziane hanno verso il proprio medico curante.
Aveva ormai ottant’anni,
era piccola di statura, di corporatura esile, una fragilità che contrastava con
la sicurezza del suo sguardo penetrante, come se a lei non si potesse
nascondere nulla. Parlava con la voce tremolante tipica di chi è affetto da
parchinsonismo, gesticolando per apparire più sicura. Aveva perso tutti i denti
dopo l'ultimo parto; i figli, appena avevano iniziato a lavorare, le avevano
regalato una dentiera mobile, ma lei la metteva solamente per andare in chiesa
e per le feste assieme all'abito buono ed alle scarpe di vernice con un piccolo
di tacco.
Quando andavo a
trovarla si metteva la dentiera, lo faceva per rispetto nei miei confronti,
dunque la riponeva nel suo contenitore quando le visitavo la gola. Viveva da sola, dai figli
non voleva andare ad abitare, nonostante tutti glielo proponessero. Pretendeva
però che, a turno, i nipoti andassero la notte a dormire da lei, perché,
diceva: "la notte è lunga, e le cose capitano sempre alle prime ore del
mattino."
Anche suo marito era
morto.
Brano tratto da
"Short story", Sa Babbaiola Edizioni
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